Torno a parlare di Whiplash perché credo che nella discussione su questo film sia facile confondere due aspetti: quello musicologico e quello ideologico. Hanno entrambi a che fare col rapporto tra film e realtà, ma in modo diverso.
Qualcuno ha osservato che non è corretto dire che il film è brutto perché dà una rappresentazione non vera della musica jazz. Per quanto sia comprensibile che un amante del jazz si aspetti lo stesso rispetto da un regista che fa un film sul jazz, non si può identificare la riuscita di un film nella sua correttezza filologica, se non era questo il suo intento.
Con un giudizio che voleva essere meno manicheo e più problematico, io ho sostenuto che Whiplash è un film bello e sbagliato; ma non posso negare che il mio giudizio sia stato influenzato anche dalla mia passione per la musica jazz. Questa “deformazione professionale” di noi “filologi” è però comprensibile, perché tra le ambiguità che fanno la forza e la debolezza di questo film ce n’è una a monte, che non avevo messo bene a fuoco finora: Chazelle ha fatto un film tutto incentrato sul jazz, sulla passione di un giovane musicista per questa musica e il suo strumento, che in realtà non è un film sul jazz. Lo spiega bene in questa intervista in cui dice di aver usato elementi e struttura narrativa di sport-movie come Rocky o Toro scatenato.
Ora, c’è qualcosa di sfrontato nella scelta di Chazelle di “usare” la musica jazz per fare un film sull’agonismo (o meglio, secondo me, un film di vendetta incentrato sulla morte-e-rinascita dell’eroe). Qualcosa di “blasfemo” quasi, per chi ama veramente il jazz. Perché la lotta senza quartiere per l’eccellenza, la violenza e la volontà di potenza sono agli antipodi del mondo ideologico in cui si colloca generalmente un appassionato di questa musica: la musica della riscossa afro-americana, la musica che esce dagli schemi rigidi della tradizione colta occidentale, la musica della creatività individuale e della partecipazione collettiva, dell’interplay e dell’ascolto reciproco.
Siamo così scivolati sull’aspetto ideologico, anche se finora riguarda solo una certa fetta di pubblico e la sua sensibilità politico-culturale. C’è tuttavia un altro aspetto ideologico, per me più importante e potenzialmente rischioso: un’idea totalmente agonistica della vita e del successo nella vita. Tra importanza della grinta e “conta solo vincere” c’è un’ambiguità che potrebbe avere effetti socio-culturali negativi.
In conclusione, Chazelle può legittimamente “usare” il jazz per fare un bel film che mostra un jazz non vero (anche se abilmente verosimile per il pubblico non “jazzofilo”). Ma io credo che un regista dovrebbe sempre assumersi la responsabilità degli effetti ideologici del suo lavoro: un “falso” che induce a pensare male può essere bello, ma sbagliato.
Certo, sarebbe opportuno distinguere sempre tra giudizio estetico e giudizio ideologico. Ma quando si scrive di un’arte così popolare come il cinema è meglio non rimanere asserragliati nella torre d’avorio del formalismo.